In Italia, ogni fonte di reddito è soggetta a tassazione: i proventi derivanti dalle plusvalenze ottenute tramite operazioni finanziarie non fanno eccezione. Si tratta di una tassazione inferiore rispetto a quella applicata ad altre fonti di reddito (tra cui quello da lavoro dipendente), ma comunque sufficiente per intaccare significativamente quanto faticosamente guadagnato.
Sfortunatamente, come ben sa ogni contribuente, la tassazione nostrana è spesso molto salata e la normativa di riferimento è sovrabbondante, farraginosa e difficile da interpretare. In questa breve guida cercheremo di fare ordine e di guidare i trader verso la soluzione fiscale più vantaggiosa.
Come viene tassato il trading online
Dal luglio 2014, sui proventi derivanti dal trading online viene applicata, in fase di dichiarazione dei redditi, un’imposta sostitutiva del 26%: questo significa che, per ogni euro guadagnato grazie al trading nel 2021, il contribuente dovrà versare al fisco 26 centesimi in fase di dichiarazione dei redditi 2022.
Attenzione, però: a venire tassata non è tutta la plusvalenza, ma soltanto la differenza tra plusvalenza e minusvalenza. Questo a condizione che la differenza sia positiva e che quindi ci sia stato un effettivo reddito; se, sventuratamente, il bilancio complessivo fosse in perdita, sarà possibile portare l’eccedenza di minusvalenza in deduzione fiscale.
Per agevolare questi calcoli, numerose piattaforme di trading online inviano, alla fine di ogni solare, dei prospetti analitici ai loro utenti, da cui ricavare il valore complessivo delle plusvalenze e delle minusvalenze. Come vedremo meglio in un paragrafo successivo, questi prospetti sono fondamentali per dichiarare la cifra esatta su cui va applicata la tassazione, senza rischiare di pagare più tasse del dovuto.

Tassazione su altre forme di investimento
L’imposta sostitutiva con aliquota al 26% si applica, in fase di dichiarazione dei redditi, anche sui proventi derivanti da numerose altre forme di investimento: EFT, criptovalute, materie prime e fondi comuni. Fanno parzialmente eccezione le obbligazioni: la tassazione sui titoli di Stato di Paesi inseriti in white list (che include, ovviamente, L’Italia e tutti i Paesi europei, oltre a numerosi stati extra-europei) è solo del 12,5%. Ai titoli di stato di paesi in black list e alle obbligazioni corporate, invece, si applica l’aliquota ordinaria del 26%.
Ma non finisce qui. Alla tassazione fiscale ordinaria dobbiamo aggiungere altre forme di tassazione, tra cui la più nota e dibattuta è la Tobin Tax, introdotta dal 2013. Questa tassa si applica sulle transazioni finanziarie su strumenti derivati. Essa si applica alle transazioni effettuate sulle azioni di S.p.A. italiane con capitalizzazione annua superiore al mezzo milione di euro ed è a carico dell’acquirente dei titoli. Viene applicata nella misura del 0,10% del saldo netto a fine giornata (se positivo); l’aliquota sale a 0,20% se le operazioni vengono effettuate su un mercato non regolato. Non si applica:
- per operazioni finanziarie in cui i titoli sono acquistati e venduti nella stessa giornata;
- su transazione riguardanti titoli di aziende estere;
- su transazioni riguardanti titoli di imprese italiane con capitalizzazione annua inferiore a 500 mila euro.
Come si pagano le tasse sul trading
La normativa italiana prevede due modalità per dichiarare e pagare le imposte dovute sui redditi derivanti da trading:
- regime amministrato: in questo caso, i redditi derivanti dalle operazioni finanziarie vengono trattenuti dall’intermediario finanziario (istituto bancario o broker), che agisce come sostituto d’imposta. Di fatto, l’investitore riceve soltanto i proventi netti; l’intermediario provvedere a trattenere l’importo da versare al fisco. Questa modalità di gestione semplifica la vita al trader, dato che l’onere della dichiarazione (e le conseguenti responsabilità in caso di errori) ricadrà sull’intermediario.
- regime dichiarativo: in questo caso, è il trader che ha il compito di calcolare l’ammontare delle tasse da versare al fisco. A questo fine, è indispensabile che abbia a disposizione una chiara rendicontazione delle plusvalenze e delle minusvalenze ottenute nell’anno precedente. Di norma, le piattaforme internazionali di trading online consentono esclusivamente questo regime: non agiscono da sostituto di imposta, ma mettono a disposizione dell’investitore dei prospetti analitici su cui basare i suoi calcoli. Se si decide di utilizzare il regime dichiarativo, la responsabilità di eventuali errori sarà in capo al trader stesso. Tuttavia, questa modalità ha anche un vantaggio: permette al contribuente di calcolare, con grande precisione, la differenza tra plusvalenze e minusvalenze, e di pagare al fisco esattamente gli importi dovuti, e non un centesimo di più.
È possibile risparmiare sulle tasse?
A fronte della corposa tassazione sui proventi del trading, è naturale domandarsi se esista un modo per risparmiare sulle tasse dovute. Se l’obiettivo è quello di evitare del tutto di pagare le tasse, la risposta è assolutamente no: se non altro perché i broker e gli istituti bancari sono tenuti a fornire all’Agenzia delle Entrate, su richiesta, i prospetti degli esiti della gestione dei loro clienti. Quindi, evadere le tasse comporta il serio rischio di essere scoperti e di dover pagare salate sanzioni.
Nei casi più gravi, è anche possibile essere soggetti a procedimenti penali. Diffidate dunque di chi vi propone soluzioni, complicate quanto strampalate, per tentare di raggirare il fisco. Ciononostante, è possibile ridurre la pressione fiscale sugli attivi derivanti dal trading. Alcuni Paesi non applicano nessuna forma di tassazione sui redditi derivanti da transazioni finanziarie: tra questi, Hong Kong, Andorra e Malesia. Altri Paesi applicano una tassazione molto più contenuta rispetto a quella italiana: alle Canarie l’aliquota è del 15%, a Malta del 12% e in Bulgaria del 10%.
L’ipotesi di spostare la residenza in uno di questi “paradisi fiscali del trading”, tuttavia, deve essere ponderata attentamente: per un lavoratore dipendente, ad esempio, sarebbe ben difficile spiegare al fisco come sia possibile aver un impiego stabile in Italia e la residenza in un Paese straniero. Per chi invece ha già fatto della finanza la sua principale fonte di reddito, trasferire la residenza all’estero potrebbe essere un metodo efficace e perfettamente legale per diminuire l’incidenza delle tasse sulle entrate.