Plusvalenza: Come si Calcolano e Come Vengono Tassate le Plusvalenze Finanziarie

La tassazione IRPEF, in Italia, incide su ogni forma di reddito: non fanno eccezione i redditi provenienti da operazioni finanziarie. Ogni investimento che si conclude con un capital gain, infatti, è sottoposto a imposta sostitutiva in fase di dichiarazione dei redditi. Il risultato delle proprie attività di trading può essere dichiarato utilizzando il regime amministrato o il regime dichiarativo. Nel primo caso, l’intermediario finanziario (istituto bancario o broker) agisce come sostituto d’imposta e le plusvalenze che il trader riceve sono già al netto delle imposte. Se invece si utilizza il regime dichiarativo, deve essere l’investitore a indicare nella propria dichiarazione dei redditi il valore corretto della plusvalenza e a calcolare l’importo della tassazione da versare.

Al giorno d’oggi, il regime dichiarativo è tutt’altro che residuale, dal momento che la maggior parte delle piattaforme di trading online non agisce da sostituto d’imposta. È importante quindi che ogni investitore sappia calcolare correttamente l’importo della plusvalenza e conosca le aliquote dell’imposta sostitutiva dell’IRPEF da applicare ai diversi prodotti finanziari: l’obiettivo di questa guida è, appunto, approfondire questi argomenti.

Cos’è la plusvalenza: significato e definizione

La plusvalenza, detta anche capital gain o guadagno in conto capitale, consiste nella differenza (se positiva), tra il prezzo a cui abbiamo venduto un prodotto finanziario e quello a cui l’avevamo acquistato: quando questa differenza è maggiore di zero, significa che i nostri investimenti hanno avuto successo e che abbiamo guadagnato soldi. La plusvalenza non rappresenta la totalità del rendimento di un prodotto finanziario, dal momento che non include gli eventuali dividendi azionari e le cedole delle obbligazioni, che la legislazione italiana considera “redditi da capitale”.

plusvalenza
Plusvalenza

Come si calcola la plusvalenza

Come abbiamo visto, si ha plusvalenza solo quando la differenza tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto è positiva (in caso contrario, si avrà una minusvalenza, che non è soggetta a tassazione). Non si può parlare invece di plusvalenza quando uno strumento finanziario, ancora in nostro possesso, risulta avere un valore maggiore rispetto al momento dell’acquisto: in questo caso, infatti, il guadagno è solo potenziale e si concretizzerà soltanto nel momento della vendita.

La plusvalenza va calcolata al netto delle eventuali commissioni applicate dall’intermediario alle operazioni finanziarie. Inoltre, qualora uno stesso prodotto finanziario sia stato acquistato in più occasioni, per calcolare il prezzo di acquisto bisogna fare la media dei vari prezzi che sono stati pagati (e lo stesso dicasi per il prezzo di vendita di prodotti venduti in più tranche).

Tassazione

Fino al 2014, sulle plusvalenze finanziarie veniva applicata un’aliquota sostitutiva del 20%; tuttavia, con l’entrata in vigore del Decreto Legge n° 66 del 24 aprile 2014, tale aliquota è stata innalzata al 26%, con decorrenza dal primo luglio 2014. Questa tassazione si applica al capital gain derivante da azioni, ETF, materie prime, beni rifugio, fondi comuni, obbligazioni corporate e criptovalute.

Un discorso a parte vale per le obbligazioni governative: sulle plusvalenze derivanti dai titoli di Stato italiano viene applicata un’aliquota sostitutiva agevolata pari al 12,5%. La medesima aliquota è applicata anche ai capital gain delle obbligazione di stati inseriti in white list, a cui appartengono tutti Paesi Europei e numerosi stati extra-europei; inoltre, viene applicata anche per titoli emessi dagli enti pubblici italiani (regioni, province, comuni e altri enti territoriali) e da organismi internazionali (come la World Bank). Sulle le plusvalenze derivanti da titoli di Stato di paesi esclusi dalla white list, si applica l’aliquota ordinaria al 26%.

Abbiamo già accennato al fatto che nel concetto di plusvalenza non sono inclusi i dividendi e le cedole che maturano periodicamente e vengono pagati agli azionisti. Tuttavia, è bene ricordare che anche questi guadagni devono essere dichiarati e sono soggetti ad un’aliquota sostitutiva pari al 26%.

Differenza tra plusvalenza, minusvalenza e trattamento fiscale

Come ben sa ogni trader, non sempre le operazioni finanziarie vanno a buon fine. Può succedere di andare in perdita ed essere costretti a vendere i propri asset ad un prezzo inferiore a quello a cui li avevamo acquistati: in questo caso, si ottiene una minusvalenza. Questa è una situazione senz’altro indesiderata, perché significa, di fatto, che l’investitore ha bruciato almeno una parte del suo capitale. A differenza del capital gain, il capital loss non è soggetto a tassazione in sede di dichiarazione dei redditi.

Al contrario, le perdite possono essere portate in detrazione fiscale ed utilizzate, per i 4 anni successivi rispetto a quello in cui la minusvalenza ha avuto luogo, per abbassare l’importo della tassazione sulle eventuali plusvalenze. Purtroppo, però, la legge fiscale italiana non permette di portare in detrazione tutte le minusvalenze finanziarie: sono infatti esclusi i dividendi e le cedole negative, e i capital loss generati da ETF e dai fondi comuni di investimento.

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.